In un elenco di titoli nobiliari esibito da Giancrisostomo Spinelli (1725-1793) si leggono i seguenti attributi: «Principe di S. Giorgio, Marchese del Sacro Romano Impero, Signore Assoluto dell’Orzi nuovi e vecchi nel Campo Bresciano, Marchese di S. Giuliano, e Possessore de’ Feudi di Frasso, S. Giorgio, Apellosa, Eleucubante, S. Pietro a Lupino e S. Maria a Gallo». Ma in quali anni e quali furono i feudatari di Frasso, appartenenti a questo casato del patriziato napoletano?
Gli Spinelli di San Giorgio si distinguevano da omonime famiglie per essere, per l’appunto, principi di quel piccolo feudo tra Montefusco e Benevento, la cui più antica notizia risale al secolo X. Come per Frasso[1], anche San Giorgio la Montagna (di Montefusco) – che dal 1929 si chiamò San Giorgio del Sannio – è nominato la prima volta in una donazione della «ecclesia Sancti Georgi de loco Vico» al monastero benedettino di S. Modesto di Benevento, fatta nel 991/992 dal principe longobardo Pandolfo II[2].
Nella seconda metà del Seicento, c’erano nel Regno di Napoli, «tra città, terre e castella», 1.981 centri abitati; e, come scrive il contemporaneo Ottavio Beltrano, «Questi signori di vassalli ascendono al numero di mille, cioè 67 principi, 100 duchi, 148 marchesi, 67 conti e il rimanente baroni». S. Iorio, come è segnato anche nelle cartografie dipinte al tempo di Gregorio XIII sulle pareti dei palazzi apostolici in Vaticano – forse perché la sua antica chiesa era «nullius dioecesis» –, era una di quelle Terre, abitata da circa cento famiglie, con poco più di trecento anime, sparse in «sette piccoli casali» inerpicantisi su di una collina. E aveva il suo principe. Si chiamava Carlo II Spinelli (1633-1689), che aveva ereditato quell’altisonante titolo dal nonno Giovanni Battista III. Il quale lo aveva ottenuto nel 1638 dal re di Spagna Filippo IV, grazie alle gesta militari del fratello Carlo I nella battaglia di Praga (1619). In quel tempo possedeva la Terra di Frasso, abitata da circa 200 famiglie, il principe Scipione Gambacorta, ivi morto il 6 novembre 1654, cui successe il figlio Pompeo, deceduto nel 1663, senza lasciare eredi.
Nel 1725, quando per 49.000 ducati Frasso passò ai Dentice, era principe di San Giorgio Carlo III Spinelli, che là nacque l’8 marzo 1678, sposò nel 1715 Maria Teresa Caracciolo ed ebbe nove figli. Dopo aver costruito in quel feudo, per propria abitazione, un palazzo «con grandezza veramente reale», al quale unì la nuova chiesa collegiata iniziata nel 1721 e consacrata nel 1737, quando fu inaugurato anche l’attiguo monastero «per donne del suo casato», Carlo pensò bene di acquistare anche il feudo di Frasso, con il palazzo baronale, giardino e fontana, due molini, un trappeto, la taverna, le botteghe e alcuni terreni. Nel 1717 egli aveva già comprato il feudo di Apollosa, pure nel Beneventano, per «45.763 ducati e 6 grana», da Domenico Guindazzo Caracciolo, duca di Resigliano.
Il nuovo feudatario, a differenza del precedente, che aveva trascurato finanche il proprio palazzo, ridotto «ad un ammasso di pietre sotto cui si dava convegno una moltitudine di serpi»[4], provvide alla fabbrica di «un vasto e bello edificio con disegno del cavaliere Vanvitelli, per propria abitazione»[5]. Così si legge in un libro di famiglia, manoscritto nel 1861, che prosegue: «E la costruzione dell’edificio era così ingegnosamente immaginata che poteasi in vettura accedere fin sopra il grande appartamento, e fabbricò accanto al Palazzo [per]sino un bel teatro per divertimento». Più di cento anni dopo, l’estensore di quel manoscritto ricordava ai posteri: «Dicesi ch’ei fosse sì magnifico, che ferrasse i cavalli in argento, ed infatti nella gran sala dell’appartamento vedevasi ai nostri giorni, quando il palazzo nella decadenza della famiglia passò in dominio altrui[6], il ritratto di esso Principe Carlo effigiato a cavallo, con i ferri d’argento sotto le unghie del cavallo».
Carlo III Spinelli, che, a differenza dei suoi antenati e discendenti, dimorò lungamente nel feudo di San Giorgio, morì a Frasso nel 1742, precisamente l’11 giugno, all’età di 64 anni, 3 mesi e 3 giorni, dopo essersi confessato, comunicato e aver ricevuto l’estrema unzione dall’arciprete della chiesa di S. Giuliana, don Matteo Jaderosa. Il giorno seguente fu sepolto nella chiesa di S. Maria del Soccorso[7].
Al principe Carlo successe il figlio Luigi Specioso (1716-1767), che sposò Giovanna Spinelli dei principi di Scalea, ma non ebbero figli; e titoli e beni passarono al fratello Giancrisostomo. Degli altri sette figli di Carlo, due divennero Visitandine nel monastero da lui fatto costruire a San Giorgio[8]. Tre si fecero gesuiti, uno abbracciò la carriera militare e una morì ancora bambina.
A Napoli gli Spinelli di San Giorgio dimoravano al Largo dei Vergini, non distante dall’abitazione paterna di S. Alfonso; e, quando costui era vescovo di Sant’Agata dei Goti (1762-1775), nella cui diocesi è Frasso, anche Luigi Specioso, come altri nobili e cavalieri napoletani, nutriva per lui «una speciale stima e devozione»[9].
Intanto, sul finire del Settecento, morto Giancrisostomo Spinelli, gli successe il figlio Carlo Maria, che, diciottenne, prese possesso di Frasso il 20 aprile 1797: appena due anni prima che fosse ucciso in uno scontro a fuoco tra rivoluzionari e realisti adunatisi a San Giorgio, il 3 maggio 1799[10]. Il fratello Domenico aveva allora solo dieci anni. A sedici sposò la ventenne Maria Luisa Caravita dei principi di Sirignano ed ebbero 19 tra figli e figlie, ma sopravvissero solo 3 femmine.
Dedicatosi agli studi, Domenico conosceva il latino, il greco, l’arabo e l’ebraico; fu archeologo e numismatico[11]; Direttore del Museo Borbonico, Presidente dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti nel 1862 e dal 1828 socio ordinario dell’Accademia Pontaniana, la più antica d’Europa[12]. Ultimo dei principi Spinelli di San Giorgio, Domenico morì a Napoli, dove era quasi sempre vissuto, il 10 aprile 1863. Ma era nato 75 anni prima nel suo feudo di Frasso, nel palazzo ricostruito dal nonno e ampliato da suo padre con la cappella domestica[13]. Ne fa fede l’atto di battesimo, che qui riporto integralmente per la prima volta.
A di 13 Ottombre 1788. Il P. Giuseppe di Filippo Religioso della Congregazione della Madre di Dio con licenza del Sig. Vicario Curato D. Francesco Cusani ha battezzato un Infante nato ad ora cinque e mezzo della notte antecedente figlio del Sig. Principe D. Gio. Crisostomo Spinelli e la Sig. Principessa D. Maria Vincenza Gaeta utili possessori di questa Terra di Frasso, al quale s’è posto nome Domenico Maria Eduardo Callisto ed è stato battezzato nella propria Cappella. L’Ostetrica Antonia Martino Napoletana.
Angelomichele De Spirito
Bibliografia
[1] Cfr. M. Di Cerbo, In volo su Frasso Telesino, Napoli 1949, pp. 17-18.
[2] Michele Di Cerbo, rifacendosi ad A. Meomartini, I comuni della provincia di Benevento (1870), Ricolo, Benevento 1970, p. 326, indica un non meglio precisato documento del 956 a firma di Pandolfo IV, col quale si dona al suddetto monastero la chiesa di S. Salvatore di Frasso. Ma, secondo L. A. Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Milano 1723, t. II, p. I, nel 956 principe di Benevento era Pandolfo I, mentre Pandolfo IV lo sarà nel 1056.
[3] Carte da me consultate nel 1979 presso la famiglia Lancellotti Durazzo, imparentata nel 1831 con gli Spinelli.
[4] In M. Di Cerbo, op. cit., p. 82.
[5] Di Luigi Vanvitelli (1700-1773), oltre al ben noto palazzo reale di Caserta, si segnala nella vicina Dugenta il palazzo Marotta. Cfr. G. Aragosa, Dugenta nella storia, in «Moifà», n. 55, 2009, p. 14.
[6] Dopo il 1810, nuovamente alla famiglia Dentice. Cfr. M. Di Cerbo, op. cit., p. 24.
[7] Archivio parrocchiale di S. Giuliana. Ringrazio mons. Valentino Di Cerbo e Vincenzo Simone per la cortese disponibilità usatami in questa ricerca.
[8] Anche a Frasso, nel palazzo Gambacorta, destinato a Conservatorio per fanciulle civili, dopo le Teresiane, vi furono le Visitandine dal 1858 al 1907, quando confluirono nel monastero di San Giorgio. Cfr. A. De Spirito, Visitandine : la diffusione in Italia, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, a cura di G. Rocca, vol. X, Roma 2003, pp. 175-176.
[9] Cfr. A. De Spirito, Lettera a una Visitandina, in Id. (a cura), La figura e l’opera di Alfonso de Liguori nel Sannio, Ancora, Milano 1999, p. 175.
[10] Cfr. A. De Spirito, Il 1799 a San Giorgio del Sannio tra rivoluzionari e insorgenti, in «Ricerche di Storia Sociale e Religiosa», n. 57, 2000, pp. 117-142.
[11] Pubblicò, tra l’altro, Monete cufiche battute da principi longobardi, normanni e svevi nel Regno delle Due Sicilie, Napoli 1844.
[12] Come ho trovato recentemente nelle carte di famiglia. Alla suddetta accademia mi onoro di appartenere anch’io.
[13] Cfr. M. Di Cerbo, op. cit., p. 82.