Valentino Di Cerbo – Quando andavo alla scuola elementare (1949-1954), Frasso contava 4.556 abitanti. Oggi ne conta circa 2196, con la popolazione più che dimezzata. Tra questi due numeri c’è tutta la storia di Frasso degli ultimi 70 anni: l’emigrazione, l’innalzamento del livello d’istruzione, le condizioni di vita notevolmente migliorate…. Basti pensare che quando ero piccolo era frequente assistere a funerali di bambini, con piccole bare bianche, campane a gloria e lanci di confetti, mentre oggi la mortalità infantile è praticamente estinta.
Tutti questi dati, unitamente al tempo che passa, suscitano in me una miriade sensazioni e di pensieri ogni volta che torno al mio paese. Sento innanzitutto un senso di vuoto, vedendo tante case chiuse e tante persone che non ci sono più, ma contemporaneamente noto tante facce a me purtroppo in gran parte sconosciute, di gente spigliata e ben vestita, che si comporta non diversamente da persone che vivono in contesti più aperti ed evoluti. E ringrazio Dio del cammino fatto dal mio paese, pensando con commozione e riconoscenza a tutte quelle persone che nelle baracche di Berna o sulle impalcature, con i pantaloni inamidati dal freddo, o in altri luoghi di un lavoro, spesso duro e umile, costruivano una vita migliore per le future generazioni di Frassesi. Rilevo altresì che con lo scomparire da Frasso di antichi nuclei familiari importanti per censo o istruzione, stanno emergendo cognomi e persone, un tempo di umili condizioni, che oggi raggiungono importati traguardi e rilevanza sociale e rappresentano la struttura portante del paese, rendendo Frasso una comunità più moderna e democratica.
Recentemente sorgono in me pensieri di grande riconoscenza verso i miei compaesani che non sono andati via da Frasso e che mi permettono di tornare ancora nella mia Terra e trovare una comunità viva ed accogliente, di uomini e donne che nei volti, nei gesti e nelle parole richiamano altre presenze che costituivano un tempo la comunità frassese e che mi hanno regalato esempi, valori e uno stile di vita semplice e rispettoso che mi ha fatto diventare uomo e mi ha accompagnato nelle varie tappe della mia esistenza. Come pure leggo di frequente su facebook nomi e cognomi che mi emozionano tanto, perché sono tipici del mio paese, anche se attribuiti a facce giovani o meno giovani che non conosco: spesso leggo che risiedono a Frasso, ma sovente i loro molteplici luoghi di residenza mi ricordano il grande esodo che ha investito il mio paese dagli anni 50 in poi e rifletto che quei valori che hanno reso uomo me e tanti miei carissimi compaesani hanno camminato nel mondo ed hanno portato effetti benefici altrove. Anche se molte di quelle persone, soprattutto di quelle più giovani, penseranno poco a questo legame e a questo capitale di umanità, che ancora struttura la loro memoria e la loro esistenza, rimane il fatto che Frasso e la sua piccola storia ha costruito anche la loro umanità e quella delle realtà in cui vivono.
Vedo, inoltre, che oggi le nuove generazioni usano molto i loro nomi e cognomi, mentre nel piccolo mondo antico in cui sono nato ci voleva il “contranome” per identificarti, perché avendo molti lo stesso diffusissimo cognome e un nome comune, praticamente erano non identificabili. Come pure la tradizione di mettere ai figli il nome dei genitori moltiplicava all’infinito le omonimie, ma nello stesso tempo esprimeva il grande orgoglio di appartenere ad una famiglia e ad una storia. Vivendo a Roma ho capito che in città ciascuno è un individuo, mentre in paese tu sei una storia, “appartieni”. Ricordo con grande commozione la gioia di mio padre quando nacque mio nipote Vincenzo, figlio di mia sorella (che ha sposato un “Di Cerbo”), che porta il suo stesso nome e cognome. Qualche giorno dopo, andando a Frasso io e lui, annunciava a tutti: “E’ nato Vincenzo Di Cerbo!” (pronunciando nome e cognome!), cioè non un semplice individuo, ma uno che appartiene a una storia! Alla propria storia.
Spero che nuove opportunità, nuovi modelli di lavoro, la facilità della comunicazione, l’abitudine a fare “gioco di squadra” di fronte ai problemi del paese, la consapevolezza che in un mondo globalizzato sopravvive chi esprime originalità, e soprattutto un senso maggiore di comunità e di appartenenza, rendano ancora piacevolmente abitabile il mio paese, dove ancora è forte il prevalere della comunità sull’individualismo e il clima di famiglia fa sentire più tranquilli e sicuri ed esorcizza la paura di essere soli e circondati da nemici, tipica di contesti anonimi (e violenti). Questo clima ha fatto della mia, un’infanzia felice e piena di libertà, in cui i genitori erano sereni perché consapevoli che in caso di difficoltà, tanti amici avrebbero protetto i loro figli e li avrebbero guidati al bene. Penso che questo clima sia ancora la marcia in più delle nostre piccole comunità, anche se talora afflitte dal”complesso del villaggio”, che portava gli abitanti di Nazareth ad affermare di fronte alle opere straordinarie di Gesù: “Ma costui non è il figlio di Giuseppe?” e a far dire al Maestro: “Nessun profeta è bene accetto nella sua patria”, che talora tarpa le ali dei migliori e rende gelosi dei propri successi.
Noto tuttavia su facebook, che il villaggio globale fa intrecciare nuove relazioni che fanno bene e liberano dal chiuso di certi condizionamenti ambientali. Auspico che i giovani di Frasso come lo scriba del Vangelo, sappiano trarre sempre più cose nuove e cose antiche dalla loro esperienze e dal tesoro di valori che le generazioni passate hanno loro consegnato per lanciarsi nella costruzione di un futuro più bello per la nostra comunità.