pubblicato il 16/10/2011
Quanti ragazzi di Frasso conoscono le cavarene? Penso pochi. Le persone più anziane, invece, conoscono bene questo termine e sanno che esso corrisponde ad una piccola strada campestre che va da Via Arbusti al Ponte di Campanile, da molti percorsa a piedi per raggiungere i loro poderi. Ma altri sanno che tale strada si chiama così a motivo di un sito che si trova a metà di tale stradina dove in antico i Frassesi andavano a comprare la rena, una polvere di tufo che serviva per le costruzioni. In effetti , superando un cancello, che si trova prima di un piccolo ponticello della stradina, appare un enorme masso di tufo situato in un terreno circondato da due torrentelli, oltre i quali il tufo scompare e si trovano nel terreno soltanto pietre. Scavando nel terreno si scopre che questo enorme masso, quasi una collinetta alta 10-15 metri, vi è solo appoggiato. Da quale epoca preistorica si trovi lì non è dato sapere. Certo è che ab immemorabili i Frassesi vi si recavano per comprare pezzi di tufo nero e polvere di tufo (a 5 lire a sarma) per costruire le proprie abitazioni.
Proprietaria di tale terreno, di circa 5 moggia e mezzo, è stata per moltissimi anni la famiglia Calvano (Gravano), in particolare Giuseppe, che poi l’ha lasciata in eredità ai figli Raffaele, che l’ha gestita per moltissimi anni, Alfonsina, Clementina, Gioconda e …. La quota di Raffaele, alla sua morte, passò al figlio Mario ed alle sorelle Antonietta e Maria. L’eccessivo frazionamento e l’abbandono della cava ha portato negli ultimi decenni all’abbandono del sito, ridotto ad un ammasso di rovi e sterpi.
A comprare ed unificare tale proprietà è stato Giuseppe Viscusi (mast’e feste) spinto a tale iniziativa non da motivi di interesse, ma in nome di una felice intuizione e di un sogno che coltiva da anni.
Egli parte da una constatazione. La drastica contrazione del numero degli abitanti di Frasso che si dedicano all’agricoltura e le nuove tecnologie stanno distruggendo un patrimonio di abilità, di memoria e specialmente di attrezzi tradizionali, ma anche di strumenti più moderni cui sono legati il progresso e migliori condizioni di vita di molte famiglie contadine. Con grande passione egli sta raccogliendo in particolare i motocoltivatori di qualche anno fa, rimettendoli in funzione. Me li mostra con orgoglio e racconta le belle storie legate a quegli strumenti da lui riportati in vita e abbelliti dalla figlia Anastasia: sono i motocoltivatori di Americo Simone (padre), Giovanni Calvano (Grarito), Giuseppe e Michele Calvano (Sarachiello), Celeste Norelli (Curuzzo) Stabile Antonio (Tonino ‘o finanziere) Rainone Antonio (Sambordo) Luigi D’Amico (Ciccone), Gennaro Gisondi (Argieri). Stanno lì, rimessi in sesto dalla passione di Peppe, che li ha presi in consegna, pronto a farli usare al titolare o a qualche figlio che per un momento volesse provare l’ebbrezza di fare un salto indietro nel tempo, pensando ai genitori. Ma il sogno di Peppe è un altro: raccogliere diverse di queste macchine agricole ormai in disuso, e anche altri attrezzi agricoli più tradizionali, abbandonati nelle case dei Frassesi, per lasciare memoria, esponendoli non in un luogo asettico, ma proprio nelle grotte di quelle Cavarene, davanti alle quali uomini e somari passavano all’inizio o al termine di faticose giornate nei campi e dove poveri contadini frassesi si recavano a prendere tufo e rena con il sogno di costruire o migliorare la propria casa.
Giuseppe, con i figli Alberto e Anastasia, sogna di vedere le Cavarene trasformate in un luogo di vita e di memoria, dove le nuove generazioni frassesi possano recarsi per conoscere attrezzi, met’e paglia ed il contesto della vita contadina delle generazioni che li hanno preceduti e organizzarvi momenti di vita: occasioni di svago, di incontri,di riflessioni e di costruzione del futuro del paese. Egli è convinto che un popolo senza memoria è un popolo senza futuro. E con questa iniziativa dettata dalla sola passione e senza fini di lucro, egli invita tutti a lanciare un po’ Frasso verso il futuro, a partire dalle solide radici del nostro passato.