Pubblicato il 28/9/2009
Il quadro della Vergine con Bambino e quattro Monache carmelitane nella Chiesa di Campanile
Verso la fine della prima metà del Settecento Napoli era diventata il massimo centro europeo di idee e di dibattiti intorno alla vita spirituale. In questo periodo grande espansione ebbe il devozionalismo mariano che, spesso, si manifestava con episodi di bigottismo (temine da cui deriva il dialettale “bizzuoco”) o con manifestazioni esteriori; queste ultime ebbero il loro grandioso epilogo nella elevazione della guglia dell’Immacolata davanti alla chiesa del Gesù Nuovo.
Uno dei più grandi maestri spirituali e propagatori del culto di Maria, in particolare dell’Immacolata Concezione, fu S. Alfonso Maria de’ Liguori, con il notissimo scritto Le glorie di Maria, pubblicato nel 1750;. Nei ceti popolari la devozione verso l’Immacolata ebbe una calorosa accoglienza, anche grazie alla pubblicazione di quattordici canti mariani, fra cui il notissimo: O bella mia speranza/dolce amor mio Maria del 1737 e Sei pura sei pia /Sei bella o Maria, del 1750. Nello stesso periodo ebbe un notevole incremento anche il culto al Sacro Cuore di Gesù ed al Bambino, a cui S. Alfonso manifestò la sua tenera affettività con alcuni canti natalizi, come Tu scendi dalle stelle,Quanto nascette Ninno a Bettalemme, ecc.
Questo fervore di scritti e di devozioni, soprattutto verso l’Immacolata Concezione, portò nel 1748 alla proclamazione dell’Immacolata a Prima e principal Padrona di Napoli e del Regno e contribuì alla nascita di nuove confraternite e nuova iconografia. Di conseguenza, agli scritti, si aggiunsero le tele e gli affreschi del più rappresentativo pittore napoletano dell’epoca, Francesco Solimena, e dei suoi discepoli fra i quali spiccava Paolo de Majo. Quest’ultimo, nel 1765, firmava e datava il quadro della Vergine col Bambino e quattro monache carmelitane nella chiesa di Campanile.
L’autore. Paolo de Majo nacque il 15 gennaio 1703 in Marcianise da Giovanni Pietro de Majo e da Ovidia de Izzo. Pittore piissimo, molto devoto alla Vergine, alla quale dedicò la Canzoncina di preghiera alla Vergine Santissima, si formò presso la scuola del Solimena dalla quale ben presto si allontanò per seguire la sua particolare visione artistica.
Amico di S. Gerardo Majella e di S. Francesco Saverio Maria Bianchi, il de Majo era essenzialmente un cattolico controriformista, in ciò influenzato dai Gesuiti, presso la cui casa, in Napoli, fino al 1767 ebbe sede la Congregazione San Luca dei pittori. Frequenti furono i rapporti fra S. Alfonso e il de Majo tant’è che, in occasione della pubblicazione de Le glorie di Maria, S. Alfonso scelse un’immagine elaborata dall’artista da porre al lato del frontespizio.
La grande devozione di Paolo per la Madonna e lo scopo fondamentalmente divulgativo della sua pittura sono documentati dalla lettera inviatagli da S. Alfonso nella quale, sollecitandolo a completare il quadro per le monache di Frasso, lo invitava a trasfondere anche agli altri l’amore che aveva per la Madonna, ovvero lo esortava ad elaborare un soggetto che avesse facile penetrazione e lasciasse un’impressione duratura nell’animo dei fedeli.
Di questo artista esistono molte opere soprattutto nelle chiese della Campania; qualche opera trovasi anche in collezioni private e nei musei stranieri come le Nozze di Cana presso il County Museum of Art di Los Angeles; nella sua terra natale, Marcianise, si trovano molti dipinti nella Chiesa dell’Annunziata e nel Duomo. Non si conoscono opere di soggetto profano e la maggior parte dei dipinti sono realizzati con la tecnica ad olio su tela. Morì in Napoli il 20 aprile 1784.
L’opera. Della nostra tela si hanno notizie nell’anno 1765, allorquando S. Alfonso scrive al maestro per sollecitare la consegna del quadro per la Chiesa delle monache di Frasso.
Soggetto del dipinto è la Vergine con Bambino e quattro monache carmelitane in adorazione, cioè uno schema iconografico di matrice devozionale, molto frequente nella pittura napoletana del settecento (fig. 1) L’opera è collocata, rispetto all’osservatore, per essere vista dal basso verso l’alto e la rappresentazione è ambientata libera entro un enorme riquadro rettangolare di m. 3,95 x 2,50. La composizione è risolta per diagonali (fig. 2) e lo schema distributivo adottato risulta molto semplice: il primo piano è dominato dalle quattro monache – “spose di Cristo” o “capo di pezza” come talora le chiamava S. Alfonso – poste ad andamento semicircolare, con lo sguardo rivolto verso il gruppo della Vergine col Bambino e le mani alternativamente congiunte o portate al petto; questi gesti hanno nel dipinto una loro importanza perché, oltre a costituire il centro dell’azione – la devozione verso la Vergine – hanno anche la funzione di collegare le devote con la Vergine stessa (fig. 3). La Vergine, in atteggiamento dolce e soave, così come la simbologia cristiana sta a rappresentare il buio della notte ed il capo cinto da una corona regale, è circondato da dodici stelle. Il Bambino, rappresentato in visione frontale, ha in mano una piccola sfera sormontata dalla croce.
Ad una prima lettura l’opera appare incentrata tutta sulla figura della Vergine e sulle monache carmelitane in adorazione ma, ad un’analisi più approfondita notiamo che l’artista, con la sapiente regia, affida alla folta schiera di graziosi angioletti, emergenti dalle nuvole, il compito di guidare i fedeli alla comprensione del mistero mariano: la nascita del Bambino nella verginità di Maria; troviamo quindi, in alto a destra del dipinto, l’angelo Gabriele che , con lo sguardo rivolto verso Gesù, reca il giglio fiorito dell’Annunciazione; sulla linea ideale che collega Gabriele col Bambino nella verginità di Maria; troviamo quindi, in alto a destra una palma (la palma, ricorda nel salmo 92,13, per il suo fogliame sempre verde, simboleggia la longevità e la vita eterna, meritata con il martirio). Lievemente più in alto a sinistra è la cometa che annuncia la nascita di Cristo. Il collegamento fra la palma e la cometa, è affidato strategicamente allo sguardo dell’angioletto rivolto verso il simbolo mariano dello Specchio della Santità Divina, sul quale si riflette la luce della stella (fig. 4). Lo specchi che sta ad indicare purezza, ed il vetro, sono spesso adottati in chiave allusiva dall’iconografia cristiana: Gesù nacque per compenetrazione di corpi, o, come recita un inno quattrocentesco dedicato alla natività: “Ut vitrum non laeditur/sole penetrante/sic illaesa creditur/virgo post et ante” (come il vetro non è danneggiato dalla luce che lo attraversa, così Maria che era Vergine tale rimane anche dopo la nascita di Cristo.
Con questo dipinto l’artista, mediante l’adozione di “ingredienti” simbolici, esprime la sintesi di tutto l’evento – l’Annunciazione e la Nascita di Gesù – all’interno del quale Maria è chiamata, i quanto prescelta da Dio per divenire la madre del Redentore, a partecipare in prima persona.
Nel dipinto di Frasso il de Majo prefigura già quelli che saranno i caratteri del neoclassicismo: poche figure disposte in modo chiaro, ordinato, evitando l’affollamento tipico del barocco; spiccata tendenza ad effetti di addolcimento cromatico mediante l’abolizione degli effetti chiaroscurali contrastanti.
Tredici anni più tardi il de Majo, visto i lusinghieri risultati compositivi adottati in questo dipinto, forse suggeriti da A. Alfonso, ripeterà il motivo iconografico degli angioletti nella tela raffigurante l’Immacolata e Santi nella chiesa dell’Annunziata di Marcianise (fig. 5).
La collocazione della tela nella zona absidale rende la luce dipinta quasi coincidente con quella – reale – che proviene dal finestrone posto alle spalle dell’altare. La luce dipinta, la cui sorgente è la cometa, gioca qui un ruolo di primaria importanza: oltre a unificare tutta la struttura rischiara l’opera valorizzando la sapiente stesura della materia cromatica dai toni caldi e rosati ma, da un punto di vista strettamente didattico, il pittore lascia chiaramente capire che la luce che irrompe dalla cometa e colpisce la Vergine è un segno di elezione spirituale, di diretta emanazione divina. E’ probabile chela visione nasconda una ulteriore simbologia perché la natività di Gesù è una festa di luce: gli angeli, la stella dei Magi apparsa fra gli astri. Luce e colori affermava il polacco Witelo (1210 – 1285 c.), sono i soli mezzi visibili che possano esprimere l’idea di ciò che è invisibile: Dio.
Forse questo dipinto era stato destinato a decorare un’altra parte della Chiesa (l’altare maggiore, al posto della statua della Madonna di Campanile?): sono evidenti, infatti, le enormi dimensioni della tela rispetto alla parete su cui è collocata e l’asimmetria della riquadratura rispetto a quella frontestante; infine, la stella cometa – che nella tradizione cristiana guidava i tre sapienti verso Betlemme per rendere omaggio a Gesù – così come è collocato il dipinto, proviene da Occidente invece che dall’Oriente.
Quest’opera del de Majo, rientrando a giusta ragione nell’ambito napoletano della pittura devozionale, si propone come una “summa” delle tendenze religiose a cavallo fra la prima e la seconda metà del Settecento e appare come la più convincente trasposizione in chiave figurativa della tenera visione manifestatasi negli scritti di S. Alfonso a cui l’artista spesso si ispirò con intenti divulgativi: Sei bella o Maria.
Giuseppe Lala
Bibliografia
B. De Dominicis, Vite dei Pittori, Scultori e Architetti Napoletani, Napoli 1742.
AA.VV., Storia di Napoli, vol. VI **, Napoli 1970.
M. A. Pavone, Paolo de Majo, Pittura e devozione a Napoli nel secolo dei “lumi”, Napoli, 1977.
AA.VV., Catalogo della Mostra, Civiltà del Settecento a Napoli 1734 – 1799, Napoli 1980.
(Cfr,. MOIFA’ 23, Gennaio 2001, pp. 18-20)